“Full fathom five thy father lies, / Of his bones are coral made; / Those are pearls that were his eyes; / Nothing of him that doth fade, / But doth suffer a sea-change / something rich and strange.” [“A cinque tese sott’acqua giace tuo padre, / di corallo sono diventate le sue ossa; / perle sono quelli che erano i suoi occhi: / nulla di lui svanisce / ma dal mare viene mutato / in qualcosa di prezioso e strano.”] : è l’inizio della Ariel’s Song, in The Tempest di Shakespeare (I, 2), che può essere intesa come una bellissima metafora della figura dell’artista, e soprattutto della sua morte, che lo trasforma in qualcosa di inattaccabile e perenne, di “prezioso e strano”. La presenza della poesia nel titolo e nel progetto di questa mostra appare particolarmente adatta a un artista come Angeli, profondamente attratto dalla scrittura e della parola poetica, e amico di poeti di grande valore, quali Nanni Balestrini, Sandro Penna, o Cesare Vivaldi, i cui testi accompagnavano spesso le opere di Angeli nei cataloghi delle sue mostre. I “fathom five” diventano così cinque livelli tematici su cui orientare la lettura e l’interpretazione del lavoro di Angeli, nel suo sviluppo dal 1957 (anno di realizzazione di tre bellissime carte inedite, qui presentate) e il 1986-88, epoca in cui si colloca, alla fine della vita dell’artista, l’immagine di un pupazzo disarticolato, tragica variante del manichino dechirichiano, e forse una sorta di autoritratto dell’artista.