Il terremoto dell’11 gennaio del 1693, la cui scossa ultima e devastatrice, quella delle ore 21.00, distrusse in un solo colpo l’intera Valle. L’avventura del terremoto iniziò alle 3 e tre quarti della notte del 9 gennaio.
Nella prima notte secondo gli scritti riportati dall’Abate Ferrara, i siciliani dormivano profondamente.
La luna mutò il suo colore e dopo un’ora venne la prima grande scossa, annunciata da un fragore sotterraneo simile a un tuono rimbombante. Il primo giorno del sisma registrò migliaia di vittime.
Il terzo giorno, il fenomeno si rivelò nella sua dimensione più apocalittica.
Si aprirono delle fratture nella terra, il mare si ritrasse e poi rifluì con le sue acque, gli animali vennero sbalzati dalla forza del sisma.
Questa è la descrizione dell’evento così come viene riscritto secondo le testimonianze di allora, nelle cronache del tempo.
A Modica, su 18203 abitanti, ne morirono 3400, a Ragusa, su 9946 abitanti persero la vita 5000 persone, a Vittoria su 3950 i morti furono 200, a Scicli le vittime furono 2000 su 9382 abitanti, a Spaccaforno, l’odierna Ispica, decedettero 2200 residenti su 7987, a Giarratana su 2981, non si salvarono 541 abitanti e infine a Monterosso Almo perirono 232 su 2340 persone.
La "dolorosa tragedia" fu una pagina di vita che non si esaurì in quella notte.
Non a caso Johann Wolfgang Goethe scrisse che l’immagine dell’anima la si trova soprattutto nell’arte della Sicilia, e fu questa la radice del suo innamoramento per la Sicilia.
L’anima degli iblei la si ritrova nelle volumetrie, nelle architetture e negli stili delle città barocche.
E anche il ricordo di quella notte è racchiuso nella splendida opulenza delle decorazioni.
Esso è lo spirito della profondità degli uomini, colpiti da un evento che in pochi minuti cancellò tanti segni delle civiltà millenarie.