"Il 5 ottobre 1859 viene giustiziato a furor di popolo il colonnello conte Luigi Anviti, crudele poliziotto, facile alla frusta, alle angherie, alle prepotenze, alla violenza, alle torture. I parmigiani lo conoscevano bene, e lo odiavano. Al partire della duchessa (Maria Luigia d’Austria ndr.)era stato tra i primi a tagliare la corda.
Per alcuni mesi era vissuto nella clandestinità, forse a Bologna; poi, convinto che tutto fosse finito e dimenticato, il nostro conte monta sul treno per tornarsene a casa, a Piacenza. In treno, però, viene riconosciuto e fatto scendere a Parma.
Qui i carabinieri lo sottraggono alle ire dei primi cittadini accorsi e lo custodiscono in caserma. Ma la voce che Anviti è a Parma corre per i borghi e per le strade.
Gente si raduna sempre più numerosa e sempre più minacciosa davanti alla caserma dei Carabinieri, che infine cede all’assalto.
Anviti cade nelle mani dei cittadini urlanti che ne fanno strazio.
Il poeta Renzo Pezzani in una poesia in dialetto (…) rievoca efficacemente il brutale fatto di sangue che ci fu rimproverato da tutti, dal D’Azeglio, dal Farini, dagli inglesi, dai francesi. Eppure (…) anche questo "misfatto orribile", come ebbe a definirlo il Farini, contribuì a convincere Napoleone III, ancora incerto se accettare o no l’ingrandimento del Piemonte all’Emilia Romagna e alla Toscana, che una restaurazione degli antichi principi avrebbe incontrato una forte resistenza nelle popolazioni che ormai avevano fatto le loro scelte.
Il Cavour fu abile a forzare i tempi e (…) fece indire dai dittatori i pleibisciti in Emilia Romagna ed in Toscana.
L’11 marzo 1860 questo pleibiscito dà in Emilia e Romagna un risultato inequivocabile: 426.000 voti per l’annessione al Piemonte; 756 voti contrari. Il 18 marzo 1860 il risultato della votazione popolare viene presentato al re Vittorio Emanuele II che lo accetta.
Parma diventa finalmente una provincia d’Italia".